I flussi elettorali 2014 in 3 città: per il Pd una richiesta di cambiamento


Si è molto parlato delle 4 grandi città perse dal Pd alle ultime elezioni amministrative: Padova, Livorno, Perugia e Potenza. Attraverso i flussi elettorali di tre di queste, abbiamo cercato di capire le ragioni della sconfitta in queste città del partito guidato da Matteo Renzi, che ha fatto segnare quest’anno una “vittoria da record” alle elezioni europee.

Come si può vedere dalle tabelle 1 e 2, a Padova e a Livorno solo il 70% circa di chi ha scelto Pd alle elezioni europee ha confermato il proprio voto per i candidati del partito al primo turno delle amministrative. Le maggiori defezioni si notano verso gli altri candidati di centro-sinistra e verso altri candidati minori, anche se a Padova pesa un 11% di elettori che ha scelto il rivale del centro-destra Bitonci. Più rosea la situazione per il Pd a Perugia, dove oltre il 90% ha confermato la propria scelta, approvando la candidatura di Boccali (tab. 3).

 

Tab. 1: Flussi elettorali europee / comunali primo turno a Padova

Flussi elettorali europee / comunali primo turno a Padova

Tab. 2: Flussi elettorali europee / comunali primo turno a Livorno

Flussi elettorali europee / comunali primo turno a Livorno

Tab. 3: Flussi elettorali europee / comunali primo turno a Perugia

Flussi elettorali europee / comunali primo turno a Perugia

 

Ma allora, cos’ha impedito a questi candidati del centro-sinistra, tutti in vantaggio al primo turno, di raggiungere l’ambita poltrona di sindaco? Sembra che alcune ragioni siano comuni a più d’una di queste città, pur con caratteristiche diverse e altre motivazioni specifiche:

  1. La scelta di parte degli elettori che li avevano sostenuti al primo turno di non votare: stiamo parlando del 31% a Perugia, del 21% a Livorno e del 15% a Padova (tab. 4, 5 e 6);
  2. La scarsa coesione dell’area di centro-sinistra: chi ha votato un altro candidato di centro-sinistra (in particolare Raspanti a Livorno e, seppur meno, Fiore a Padova) ha votato per il Movimento 5 Stelle a Livorno, con ben il 70% degli elettori di Raspanti che sceglie Nogarin, o ha sostenuto solo in parte il candidato del Pd, come a Padova dove il 76% degli elettori di Fiore ha comunque votato Rossi ma il 22% ha scelto il non voto.
  3. La fuga degli elettori del Movimento 5 Stelle verso i candidati di centro-destra o verso il non voto, nelle città in cui non è presente un loro candidato al ballottaggio. A Padova, il 46% degli elettori di Grillo ha preferito Bitonci, il 44% si è astenuto e solo il 10% ha supportato Rossi. A Perugia è andata ancora peggio: nessuno ha scelto Boccali, ma il 43% ha votato per Romizi e il 57% non ha votato.

 

Tab. 4: Flussi elettorali comunali primo turno / comunali secondo turno a Perugia

Flussi elettorali comunali primo turno / comunali secondo turno a Perugia

Tab. 5: Flussi elettorali comunali primo turno / comunali secondo turno a Livorno

Flussi elettorali comunali primo turno / comunali secondo turno a Livorno

Tab. 6: Flussi elettorali comunali primo turno / comunali secondo turno a Padova

Flussi elettorali comunali primo turno / comunali secondo turno a Padova

 

Ma lo scarso sostegno del Pd ai suoi candidati a cosa è dovuto? Sicuramente alle comunali l’effetto Renzi c’è stato, basti pensare che il centro-sinistra ha vinto in 166 dei 239 comuni con più di 15mila abitanti rispetto ai 129 che governava prima. In particolare, ne ha confermati 100 e ne ha rubati 51 al centro-destra, 11 alle civiche e 2 rispettivamente a Lega Nord e partiti di centro. Ma allora cos’è andato storto in queste grandi città sorprese dal risultato negativo?

La chiave di queste sconfitte sembra essere una richiesta di profondo cambiamento, per dirla con le parole di Renzi di “rottamazione”. Rossi, Ruggeri e Boccali sono tutti, chi più chi meno, rappresentanti di una generazione “vecchia”, magari non tanto dal punto di vista anagrafico (59 anni per Rossi, 44 per Boccali e 40 per Ruggeri) quanto da quello della partecipazione politica e dell’identificazione con la “casta”. Rossi è in politica dal 1982, prima come consigliere comunale, provinciale, regionale e poi come assessore, vicesindaco e infine sindaco reggente. Boccali ha mosso i primi passi nel mondo politico come consigliere comunale nel 1990, poi assessore e infine sindaco uscente. E Ruggeri ha ottenuto i primi incarichi di partito nel 2004, per poi diventare consigliere comunale e regionale. E tutti si sono confrontati con dei candidati che, seppure in diverse forme, rappresentavano un cambiamento rispetto allo status quo. Si è trattato quindi di un voto più legato alla persona che al partito, come sempre quando si tratta di elezioni comunali. Ma non tanto alla persona in sé, bensì a quello che essa rappresenta come categoria e generazione.

E non va dimenticato che tutte queste candidature avevano sollevato polemiche interne al Pd e/o interne all’area politica di centro-sinistra. Basti pensare allo scontro Rossi-Fiore in seguito alle primarie a Padova, che si è concluso con la candidatura di Fiore contro quella di Rossi, e alle divisioni nate dalla candidatura di Ruggeri a Livorno, mal digerita soprattutto dai renziani e dalle altre liste di sinistra, che hanno scelto di presentare un proprio candidato, Raspanti. E anche contro Boccali non è mancata l’accusa di non essere abbastanza “nuovo”, di rappresentare la continuità con un certo sistema di partito. E le divisioni a sinistra hanno avuto esiti pesanti soprattutto a Livorno: ipotizzando che chi ha scelto Raspanti e Ruggeri sarebbe stato disposto a votare un unico candidato se ci fosse stata convergenza da parte del centro-sinistra (anche se sappiamo che non è propriamente così), Livorno sarebbe stata vinta al primo turno senza preoccupazioni, con oltre il 56% dei consensi.

In conclusione, queste sconfitte non riducono certo il peso della vittoria del Pd alle elezioni europee e comunali e del successo personale di Renzi, ma dovrebbero stimolare una riflessione sulla pressante richiesta di rinnovamento della classe politica locale che arriva dai territori.

 

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